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La casa dei Filippini

La casa dei Filippini & l’U.H.G.C.: macchine per abitare


Paolo Aringo nella sua Roma Subterranea 2 presenta una immagine ove la città è descritta attraverso i soli grandi manufatti della romanità, con sottrazione di quel tessuto connettivo che per un Alberti o per un Hilberseimer è l’abitazione.

L’immagine dell’Aringo pone oggi una domanda: nel continuum urbanizzato che è il campo di esistenza delle nostre realtà urbane (si pensi alla situazione adriatica) può configurarsi l’elemento singolare – riconoscibile in quanto tale? È possibile, cioé, pensare l’elemento che generi la discontinuità nel non risolto – elemento riconoscibile per la sua autonomia formale e funzionale, e progettato per essere parte di un più ampio tessuto di relazioni (un tessuto in syderis formam 3)?

L’invito rivoltomi dal Professore a parlare dei grandi manufatti dalla chiara vocazione all’autonomia (per forma e per funzione) mi ha indotto a ritornare al Qutremère De Quincy del Dizionario storico di architettura come occasione per condurre alcuni ragionamenti sul concetto di UNITA’ in architettura.

Così scrive Qutremère alla voce unità:« (…)L’unità è la condizione principale di ogni opera, perchè essa ha il suo principio nella unità stessa dell’anima nostra. (…) L’unità fra le parti di cui sarà composta un’opera non è diversa dalla unità di azione in una moltitudine di fatti e di circostanze» unità di azione intesa canonicamente in senso aristotelico come luogo unico della rappesentazione e dove «la unità non consisterà punto nella uniformità di azione di ciascuna parte, ma per lo contrario in una diversità de’loro impieghi» 4. Sulla pluralità delle unità parziali di Qutremère dissentirà, anni dopo, Viollet-Le-Duc che, dopo averle elencate, scriverà nel Dictionnaire raisonné de l’architecture Française du XI au XVI siècle : « (…) Noi pensavamo che l’unità avesse la proprietà di non poter essere divisa e che ciò che può essere diviso è pluralità» 5. Più dell’ambito polemico per il quale per Viollet verità e architettura saranno in situazione di contiguità, interessa l’idea dequincyana di una unità come raggiungimento, coazione di parti dove è il progetto a garantire l’operazione di cucitura. E non sarà questione di scala dell’intervento: domum alibi pusillam urbem o più oltre nel libro IX, sempre dell’Alberti, l’edificio sarà veluti animal 6. Come dire, continuando la lettura della voce untà in Qutremère De Quincy, «che l’unità è il legame che produce un tutto (…) che la sua azione consiste particolarmente in operare fra tutti gli oggetti una combinazione, la quale sia e sembri necessaria, combinazione tale cui non si possa né togliere né aggiunger nulla. L’edificio è letto come struttura logica al quale ogni parte è necessaria.

Se qui mi fermo con la lettura di Qutremère, in una libera e programmatica associazione di immagini alla Roma Subterranea faccio seguire una scultura lignea di LC del 1957: Nature morte in legno policromo. Io leggo questa opera come metafora stessa della U.H.G.C. 7 proprio per l’articolazione chiara delle sue parti e per la relazione tra queste esistente: un basamento, un telaio contenitore, degli elementi contenuti tra loro concorrenti alla formazione della unità del manufatto. Se l’unità è la qualità di ciò che è indiviso, la ricchezza di un edificio quale l’U.H. è sinonimo di molteplicità ed è in questo senso, di necessità di ogni sua parte alla totalità che parleremo di composizione. Si può sostenere che l’U.H. sia una macchina, nel senso di autonomia, non avente necessità al radicamento, indifferente ai luoghi. Una utils decisamente antiurbana (nel senso della città occidentale) ma che al territorio si ancora, sorta di paquebot urbano, con i suoi prolungamenti dell’abitazione, rivendicando la sua volontà di appartenere e modificare i luoghi.

Quando nella Roma del ‘600 compare sulla scena un personaggio come Borromini muta nel fare architettura l’atteggiamento verso la tipologia, in luogo dei canoni tipologici avremo problemi architettonici ricorrenti risolti attraverso matrici geometriche e con spregiudicata valutazione della funzione dell’edificio nella realtà urbana. Il ruolo dell’edificio nella città per B. è una discriminante che ha riflessi sulla progettazione. Un esempio è la casa dei Filippini, microcittà dai molteplici esiti, da oratorio a macchina per abitare.

Il riferimento alle invenzioni borrominiane non è casuale, e vuole essere in una forzatura ideologica un’occasione per ragionare sui grandi manufatti dalla vocazione all’autonomia. Così come al fianco delle Unità di abitazione di grandezza conforme avrei potuto dire Uffici Olivetti a Rho o Palazzo dei congressi a Strasburgo; una procedura-composizione a mezzo di grandi volumi che nell’agire sul territorio possa allo stesso tempo, simultaneamente o distintamente, tollerare/ produrre/ combattere il disordine urbano.

La sezione logitudinale della Casa dei Filippini è lo spaccato di una grande macchina, «un edificio che rivestiva molte funzioni simultaneamente e a diversi livelli. Fungeva da magazzzino per le merci e provviste, da deposito per il cibo e serbatoio per l’acqua. Serviva da residenza per una congregazione di ben sessanta elementi, ai quali offriva un certo grado di comodità e di agio domestico. Ospitava infine una serie di rituali comunitari e d’incontro che costituivano il tessuto della vita quotidiana, in particolare quelli incentrati su i pasti in comune, sugli esercizi dell’Oratorio, sull’intensa attività musicale che si svolgeva nell’edificio, e sul ricevimento di ospiti di riguardo» 8. L’acqua Paola entrava nel palazzo, parte anche deviata verso un bollitore per l’acqua calda per il lavaggio delle stoviglie; di progetto un sistema per la raccolta dei rifiuti che potesse utilizzare l’acqua di scarico delle fontane per immettere i rifiuti nel Tevere. Particolare attenzione all’abitare, le residenze pensate, diremmo oggi, come mini appartamenti, con grande autonomia funzionale ed acustica; gli appartamenti più importanti riscaldati. Gli alloggi al piano nobile erano dotati di giardino privato e piccolo balcone sul giardino della corte, in un chiaro rifiuto dei modelli aristocratici dove l’aspetto rappresentativo della casa era a svantaggio della comodità. Una unità che parla della unicità ed indivisibilità di un corpo ove tutto è necesario secondo una unitas absoluta. Forse una chiara messa in forma di quanto detto attraverso la lettura della voce unité (il «legame che produce un tutto») di Qutremère De Quincy, ovvero l’unità come raggiungimento, può essere il sistema dei disegni lcorbusiani elaborato per il conseguimento dei brevetti per le Unita di abitazione di grandezza conforme. Le Corbusier, tra il 1918 ed il 1961 sviluppa ben sedici brevetti. Tra questi, cinque elaborati tra il 1945 ed il 1960, sono da riferirsi più o meno direttamente, all’idea di Unità di abitazione. Il richiamo ai brevetti trova la sua utilità nella necessaria schematicità esplicativa che è dei testi illustrativi di questi. Privi, cioè, dell’apparato retorico lecorbusiano, sono uno strumento semplice per delle considerazioni sul significato dell’idea di unità in architettura.

Il rigore esemplare della struttura logica dell’edificio è la chiave della interscambiabilità dei materiali nella garanzia della invarianza che ne deriva, da qui per Le Corbusier (LC) la possibilità di brevettare le possibili soluzioni. La scelta dell’industrializzazione diventa occasione per comporre concependo la variazione, nel montaggio dei pezzi prefabbricati, come preziosa occasione della construction à sec : corrispondenza tra la logica costruttiva e la logica formale degli elementi, in una serrata relazione di parti tra loro parlanti, in un irrompere di esperienze che attraversano tutta la ricerca architettonica ed artistica lecorbusiana secondo proporzionamenti conformi a esigenze molteplici. La modificabilità del tipo originario apre (nel modello e nei progetti giunti ad eseguibilità ma non compiuti) alla possibile introduzione di anomalie nella serie (nella fedeltà al tipo primordiale), con disvelamento di nuove possibilità per intessere connessioni tra edificio e sue estensioni – preziose indicazioni nella contemporaneità 9.

1 Brevi appunti elaborati per una comunicazione tenuta a Pescara, Facoltà di Architettura venerdì 12 aprile 1996, all’interno del Laboratorio di progettazione del Prof. Giuseppe Barbieri.

2 1Paolo Aringo, Roma Suterranea. Lutetiae Parisorum Apud Federicium Leonard sub scuto Veneti Via Iacobea, 1659.

3 Sigfried Giedion, Sisto V (1585-1590) e il piano regolatore della Roma Barocca in S.Giedion, Spazio, tempo, architettura; lo sviluppo di una nuova tradizione. Hoepli 1981.

4 Dalla voce unità in, Quatremère de Quincy Dizionario Storico di Architettura. V.Farinati e G.Teyssot (a cura di). Saggi Marsilio 1992.

5 Dalla voce unità in , Eugène Viollet-le-Duc, L’Architettura ragionata. M.A.Crippa (a cura di). Jaca Book1981.

6 Leon Battista Alberti, L’Architettura (De Re Aedificatoria). Paolo Potoghesi (a cura di). Edizioni Il Polifilo.

7 Luca Falconi Di Francesco, L’abitazione e l’architettura dell’abitazione nella costruzione della città contemporanea. Dottorato di ricerca in Composizione architettonica-VII ciclo. Venezia 1994.

8 Joseph Connors, Borromini e l’oratorio romano. Einaudi 1989.

9 Per i brevetti lecorbusiani per le Unità di abitazione si veda: Luca Falconi Di Francesco, Considerazioni sul concetto di unità in architettura in Note n°37 – giugno 1995.