Cosa si intende per rigenerazione urbana? Il Decreto interministeriale n. 395/2000 assegna 853,81 milioni di Euro per la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico. Le finalità del programma possono riassumersi in quattro macro tematiche. Riqualificare ed incrementare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Rigenerare il tessuto socio-economico. Migliorare accessibilità, sicurezza, dei luoghi, rifunzionalizzando spazi e immobili pubblici. Miglioramento dell’azione sociale. Il piano nazionale di rigenerazione urbana ha lo scopo di riqualificare il patrimonio edilizio in aree degradate, riducendo il consumo del suolo, migliorando l’efficienza energetica degli edifici, utilizzando fonti rinnovabili procedendo al miglioramento sismico del patrimonio esistente. La rigenerazione urbana è un’azione di riqualificazione del territorio come rimedio al degrado urbano. Il concetto non è nuovo. Generalmente lo si fa risalire alla formazione della città industriale ottocentesca. L’espansione urbana, non progettata, produrrà nei quartieri operai degrado sociale e morale come, ad esempio, nella Londra vittoriana descritta da un Charles Dickens. A tutto ciò le municipalità cercarono riposte sociali ed edilizie che fossero alternative allo sfacelo generale dei quartieri operai autocostruiti. Se storicamente si fa nascere il concetto di rigenerazione urbana come risposta alla inurbazione non progettata dovuta alla industrializzazione forzata delle città, è anche vero che già nel nostro Rinascimento architetti come Biagio Rossetti, con la sua addizione erculea nella Ferrara estense, oppure un architetto come Domenico Fontana, nella Roma di papa Sisto V, compiono azioni alla scala urbana che sono vere e proprie rigenerazioni della città sedimentata.
Perché è importante oggi un grande progetto di rigenerazione urbana? La forza caratterizzante la città è la vicinanza tra le persone, le attività e le cose. Ma vicinanza è anche la sua debolezza. La città post covid-19 dovrà diventare, necessariamente, un luogo preparato a resistere al prossimo urto epidemico. Inoltre, nello specifico di Teramo tutto questo è da affiancare alla memoria dei recenti terremoti. Il lungo tempo in casa ci ha fatto capire che vanno ripensate anche le forme dell’abitare e con esse del lavorare. Spazio pubblico, nuove forme dell’abitare/lavorare. Questi sono i temi centrali della città post epidemica. Migliorare accessibilità e sicurezza, di cui si diceva prima, significa operare per la gestione delle emergenze legate alla sicurezza dei luoghi anche, e non solo, per problemi legati al crimine: una progettazione finalizzata ad evitare l’insorgere della devianza. Ne consegue la necessità di una organizzazione dello spazio pubblico che pensi sia alle emergenze ambientali che alle emergenze sismiche; ovvero una integrazione tra piano urbanistico e il piano di gestione delle emergenze.
Teramo, le case di Via Longo: entriamo nella storia urbana della porzione di suolo di forma triangolare compresa tra Via Longo / Via Fonte Regina / Via Giovanni Antonio Campano – Via Guido II. Nell’aprile del 1921, durante la sindacatura di Francesco Sagaria, diventò operativo l’esproprio del Piano del Vescovo finalizzato alla costruzione delle prima case operaie aprutine. L’area chiamata Piano del Vescovo, che si estende per oltre 16 mila metri quadrati, era di proprietà della mensa vescovile. Lì furono edificate, dall’Istituto Case Popolari, le prime case operaie di Teramo (I.C.P. legge 31 maggio 1903 n. 251). È l’inizio della costruzione di quella che, di fatto, oggi è la periferia storica della città di Teramo. Durante le sindacature di Alfredo Biocca (1951-56) e di Carino Gambacorta (1956-69), grazie alla legge Tupini (L.408/1949 disposizioni per l’incremento delle costruzioni edilizie – costruzione di case popolari) tra il 1949 ed il 1956 iniziò la progettazione e la realizzazione di quelle che furono chiamate, a via Longo, case popolari di alloggi minimi oppure case popolari ad appartamenti minimi. La progettazione era interna all’ufficio tecnico comunale diretto dall’ingegnere capo Aldo Boldrini. Ad esempio, l’approvazione del progetto delle prima due palazzine di Via Longo (delle sei in totale) risale al luglio 1953: due case popolari ad appartamenti minimi, 16 alloggi per edificio, 4 alloggi per piano, un rettangolo in pianta di 31 x 9 metri per 4 livelli abitativi.
Perché questo luogo è importante nella storia della nostra città? Siamo nella periferia storica. È il primo luogo in cui si costruisce un pezzo di città uscendo fuori dalla città storica tra i due fiumi. La progettazione di questi edifici, nella apparente semplicità formale, è molto interessante. Ritroviamo le indicazioni della manualistica di quel periodo, dal Griffini al Neufert ed emerge un ufficio tecnico comunale sensibile alle problematiche degli alloggi minimi proprie del Movimento Moderno, fino alle questioni legate alla dislocazione al suolo delle palazzine secondo l’asse eliotermico.
Abbiamo davanti un pezzo di storia urbana tutta da studiare e da valorizzare e penso proprio all’occasione unica data dal piano nazionale di rigenerazione urbana.