Se si dovesse individuare un sintetico slogan per descrivere il complesso restauro da poco terminato potremmo dire: TRASFORMAZIONI E STRATIFICAZIONI NELLA CATTEDRALE DI S.MARIA ASSUNTA.
La domanda altrimenti posta è: perché teniamo a sottolineare la coincidenza tra il fare tecnico specifico del restauro e l’interpretazione del monumento? La risposta è insita nella lettura storico-stratigrafica del manufatto.
Era l’anno 1251 quando, il 27 marzo, Pietro Capocci, vescovo di Albano – legato pontificio, conferisce, con bolla, la dignità episcopale alla chiesa di Santa Maria elevandola a cattedrale (premio agli atriani per la fedeltà a Innocenzo IV contro Corrado IV imperatore di Germania).
La circoscrizione territoriale avviene per sottrazione alle mense di Teramo e Penne: i contrasti che insorsero consigliarono il Capocci ad unificare aeque principaliter sotto un unico vescovo le diocesi di Atri e Penne. È il momento iniziale della storia architettonica di Santa Maria come Cattedrale. Il passaggio successivo, nella definizione delle tematiche di trasformazione del manufatto architettonico, lo si ha nell’anno 1268: bolla di Clemente IV di concessione di indulgenza a favore di coloro che avessero visitato la chiesa o che avessero concorso ai lavori con elemosine (indulgenze dello stesso tipo vennero accordate anche negli anni 1284,1292,1294 si vedano i tre portali meridionali datati 1288 – ingresso, 1302 – porta mediana, 1305 – porta santa).
Ovviamente la chiesa ha una storia più antica, menzionata per la prima volta in una bolla di Innocenzo II (1140) in un elenco di edifici appartenenti alla diocesi di Penne.
La parola chiave per la lettura del manufatto architettonico è TRASFORMAZIONE.
Le trasformazioni avvenute, e sulla cui successione credo sia stata detta parola definitiva con lo studio di Francesco Aceto (D.A.T: V,1), sono l’orizzonte con cui il restauro si è confrontato. I lavori sono stati condotti dall’Ingegner Taraschi, con cui ho collaborato per l’architettonico; il restauro ebbe inizio con S.E. Mons D’Addario che voglio qui ricordare.
Tutto cominciò per realizzare, secondo il destino che lega le due Cattedrali della Diocesi di S.E. Mons Seccia, un pavimento radiante come soluzione alla rigidità del clima che si percepiva l’inverno all’interno di questa nostra splendida chiesa.
Edifici così grandi sono sempre stati storicamente esito di una progettazione collettiva: così è stato per il restauro di Santa Maria; i desiderata della Committenza hanno trovato armonioso dialogo con la Direzione generale della Sovrintendenza B.A.P. (Arch. Roberto Di Paola) e con la Commissione Tecnico Scientifica (prof. Luisa Franchi dell’Orto, prof. Ferdinando Bologna, prof. Francesco Aceto), fondamentale sono state le esperte maestranze della EDILCOSTRUZIONI Group ed in particolare va il ringraziamento al capocantiere Pietro Di Felicieantonio. Essenziali gli Enti erogatori (Fondazione TERCAS, Conferenza Episcopale Italiana, Regione, Ministero BB.CC.) che hanno affiancato nella spesa la Diocesi nel colossale sforzo economico da essa sostenuto.
Il lavoro da noi condotto è stato d’indubbia complessità e gli esiti visibili, a lavori conclusi, non sono che una parte dei tre anni di lavoro. Vediamo il pavimento lapideo, l’intonachino dato alle pareti, il presbiterio (su cui già Guglielmo Matthiae era intervenuto) riletto secondo le possibilità date dall’odierna tecnologia del vetro, l’intervento sistematico sulle facciate ed uno meno visibile (ma economicamente impegnativo) sulle coperture, oltre agli interventi sugli infissi e le opere lignee. Non visibili le opere di consolidamento e l’impiantistica.
Il dato tecnico: per quanto concerne il pavimento trattasi di travertino spazzolato meccanicamente e stuccato in opera – protetto con antimacchia – con sottostante impianto di riscaldamento (impiantistica termo-idraulica: D.Gentili, ing. G.Grotta). La scelta coloristica e la pezzatura delle lastre derivano dall’analisi parietale. Pavimentazione resa con un disegno libero da tentazioni geometriche e con un’iterazione di un modulo A-B-C (30-40-50 cm) ripetuto serialmente.
È stata quella del pavimento la scelta di una procedura sottovoce; ove il fine era essere da sottofondo alla potenza dirompente delle presenze storiche: siano esse architettoniche, archeologiche o pittoriche (restauro affreschi: dott.C.Tropea, storico dell’arte). Il pavimento lascia volutamente che sia la storia della cattedrale a parlare e non altro. Procedura simile è quella definita per la tipologia del trattamento parietale; un intonachino il cui colore deriva dal contributo dell’architetto Franco de Vitis della Sovrintendenza del professor Ferdinando Bologna.
L’intonachino porta a nuova lettura alcuni segni minimali e criptici quali sono le CORNICI DI CORONAMENTO, memoria delle fasi di trasformazione della chiesa prima che fosse cattedrale. Cornici essenziali allo storico dell’architettura per la ricostruzione della successione che da ATRI 1 (1100) conduce ad ATRI 2 (1223 : 1° ott.1223 consacrazione altari vari compreso quello della cripta), fino ad ATRI 3 (1268 di cui si è detto).
La pavimentazione s’interrompe quando incontra il presbiterio denunciando, con intarsi in travertino oniciato, la presenza – a pochi centimetri sotto il suo livello – degli articolati pilastri dell’edificio romano ottagono (scavi condotti dal dott. Glauco Angeletti – Sovrintendenza B.A. per l’Ab.). Il presbiterio in acciaio e vetro ha conservato le dimensioni, e parte del telaio in acciaio, del restauro che dal 1954 al ’60 interesserò la cattedrale a opera di Matthiae che scelse di demolire l’esistente presbiterio seicentesco scoprendo i noti mosaici con figurazioni di animali marini.
Il presbiterio del XVII sec. era alto, rispetto al pavimento, cm 63 ed era esteso fino alla seconda coppia di pilastri e largo quanto la cattedrale. Lo scavo rivelò, allora, un precedente e più ridotto presbiterio (h=cm 44) a cui si accedeva da gradini posizionati tra la prima coppia di pilastri ottagonali: presbiterio che era ancora in uso nel XV sec. perché della quota teneva conto la zoccolatura degli affreschi del Delitio. Lo scavo alla fine degli anni ’50 rivela inoltre un’abside centrale (h=cm 43,9) e due absidine a nord (navata sinistra); quelle di destra furono sicuramente obliterate per realizzare la scala di accesso alla cisterna sottostante divenuta cripta della chiesa.
È con la cisterna romana che storicamente la chiesa si è sempre posta in relazione – almeno da un punto di vista strutturale. Le stesse cinque absidi sono in rapporto con l’edificio ipogeo, lo sono i pilastri della cattedrale – quelli di oggi , ma lo sono anche l’edificio ottagono e la vasca esagonale centrata sul manufatto sotterraneo per la raccolta delle acque. Lo era sicuramente ATRI 1 nella sua estensione: problematico al contrario la definizione della posizione delle colonne, ipotizzabili, ma non confermate dallo scavo archeologico fatte salva quella sotto il presbiterio (Matthiae) e le due semi colonne parietali.
Il nostro restauro mette in mostra tutto questo, in azione simultanea rivolta alle necessità liturgiche e a quelle documentali (intese come messa in mostra dei dati della storia).
Si apre ora ai professionisti della ricerca perché, dati alla mano, possano costruire ipotesi percorribili sull’affascinante stratificazione costituita (partendo dal basso) da: edificio ipogeo, manufatto ottagono al cui centro è la vasca esagonale, successione degli edifici cristiani. La vera incognita resta il passaggio tra la fase dell’edificio pubblico romano e l’utilizzo cristiano. Occorre ora definire quale sia stata ATRI ZERO, ovvero – ammesso che ciò sia avvenuto – come il manufatto ottagono con vasca esagonale al centro sia diventato parte della chiesa cristiana. Si potrà ipotizzare l’edificio ottagonale come pergula della primitiva chiesa? Si può pensare che la fascinazione della presenza dell’acqua fonte di vita nella sottostante cisterna sia sfuggita ai fondatori della prima chiesa atriana? Si può pensare che i primi costruttori della chiesa di Atri siano stati insensibili alla simbologia dell’ottagono? Su tutto ciò ci si dovrà interrogare.
Luca FALCONI DI FRANCESCO
la foto del presbiterio vetrato è di Gino Di Paolo
I lavori sono stati eseguiti dalla Edilcostruzioni Group http://www.edilcostruzionisnc.it/