La città analoga[1]
La composizione della tavola “la città analoga ” per la Biennale di Venezia del ’76 fu una specie d’atto di scrittura automatica; un’ esperienza a più mani: Aldo Rossi , Fabio Reinhart, Bruno Reichlin e Eraldo Consolascio . Durante il lavoro la tavola sembrava non funzionare, era come se mancasse qualcosa all’armonia delle parti. Poi Rossi pensò di incollare, nell’angolo superiore destro un angelo; quello con la mano sinistra indicante. Improvvisamente il collage prese vita, e i quattro si ritennero soddisfatti. La tavola era così ultimata.
L’idea de ” la città analoga ” nasce a Rossi dovendo elaborare una nuova introduzione per l’edizione portoghese de L’architettura della città[2]. Scrive dei montaggi fatti da Canaletto con pezzi palladiani usati per la costruzione di quella Venezia si immaginaria, ma ben «impiantata su quella vera», assegnando l’ideale paternità del metodo (compositivo ) a Giovanni Antonio.
Canal tratta come outiles i progetti di Andrea Palladio, decontestualizzandoli e desemantizzandoli. Il Capriccio con ponte di Rialto secondo il progetto di Palladio, il palazzo Chiericati e le Logge palladiane di Vicenza (che stando all’Algarotti ingannò nell’individuazione del luogo addirittura qualche cittadino lagunare) è solo l’esempio più famoso della «Venezia analoga» canalettiana.
A.Corboz analizza la serie delle sperimentazioni canalettiane. Quelle che generalmente sono chiamate le vedute, tutte si scoprono essere capricci – anche, e soprattutto, quando ciò non è dichiarato.
Dilatazioni spaziali, derive di pezzi edilizi, aggiunte, sottrazioni, traslazioni, interpolazioni del/nel repertorio di outiles lagunari, rotazioni di questi e poi objet trouvé; finanche un’interferenza nella teoria delle ombre: una decostruzione urbana che per Canaletto ha fini molteplici e per i quali si rimanda alla lettura della gigantesca opera di Corboz[3], ma che interessano perché accendendono il motore del sistema analogico buttando luce su questa misteriosa tavola rossiana.
Canal ri-compone luoghi assolutamente noti con verba a volte nuovi ma più sovente presi in prestito d’altri contesti. Il fenomeno è solo apparentemente estraniante. La tavola per la Biennale fa riferimento alla composizione urbana, volendo sostanzialmente essere esemplare di un metodo di progetto.
Quale?
Nel film Smoke (di Wayne Wang su testi di Paul Auster ) Auggie – un venditore di tabacchi anche di quelli cubani di contrabbando – fotografa da quattromila giorni, alle otto del mattino, l’angolo fra la Terza Strada e la Settima Avenue a New York: «Quattromila giorni uno dopo l’altro fotografati con ogni sorta di tempo (…) il lavoro di una vita (…). È una piccolissima parte del mondo, ma le cose succedono lì come dappertutto», dice Auggie.
Paul, il coprotagonista osserva l’album delle fotografie, stupefatto, ed esclama: «Ma sono tutte uguali».
Auggie: «Il posto è lo stesso, ma ogni foto è diversa dall’altra. Ci sono mattine col sole e quelle con le nuvole, c’è la luce estiva e quella autunnale. Ci sono i giorni feriali e quelli festivi. C’è la gente con cappotto e stivali e la gente in calzoncini e maglietta. Qualche volta la gente è la stessa , qualche volta è diversa. (…) La terra gira intorno al sole e ogni giorno la luce del sole colpisce la terra con un’inclinazione diversa»[4].
La scena fissa appare con una varietà molteplice di esseri umani, di cose, di luci, di suoni e colori che trasformano lo stesso luogo – quello a tutti noto – ne i luoghi della molteplicità, del quotidiano sempre uguale .
È, ad esempio, la stessa invenzione teatrale della Resurrezione di Drusiana di Donatello in uno dei pennacchi sotto la cupola della sacrestia Vecchia di San Lorenzo a Firenze: la scena fissa con personaggi monocromatici, esplode con l’improbabile colore assegnato alla santa.
L’analogia è rapporto di somiglianza tra due elementi costitutivi di due fatti o oggetti, tale da inferire mentalmente un certo grado di somiglianza tra i fatti e gli oggetti stessi[5], ma «è tanto più sterminata quanto più è immobile»[6], è nella stasi, nella pesantezza del costruito, che può esplodere trionfante una piccola invenzione/variazione. «Cose diverse che s’illuminano, o acquistano luce diversa se accostate, l’analogia ad ogni confronto aumenta la nostra capacità di conoscenza. Tra questi modi mi ha sempre interessato nella tecnica letteraria (e lo possiamo vedere anche nella architettura e nelle arti figurative) il cambiamento con arte di una parola o di una frase da un significato proprio ad un altro ed è questo il traslato che i Greci chiamavano metafora e che Quintiliano indica come il primo e il più bello dei tropi (.,. tropus est verbi vel sermonis a propria significatione in aliam cum virtute mutatio). Questa virtù che permette di mutare il significato della stessa cosa si avvicina al concetto di tecnica»[7].
Un altro esempio per dire, per mezzo d’architetture, l’indicibile sotteso nella tavola di Rossi. Le quattro colonne agli angoli della crociera di San Bernardino di Francesco di Giorgio ad Urbino: un’invocazione alla calma, ed allo stesso tempo, dirompente invenzione di una spazialità recintata ma che s’apre alludendo ad un gran baldacchino funebre che è poi lo scopo di quella chiesa. È il gioco delle parti, la costruzione dell’inganno – che è auto-inganno – apre con richiami inaspettati alla variazione sul sempre uguale. Nella scena natalizia finale del film di Wang, Auggie si finge essere il nipote di un’anziana e cieca signora nera, anch’essa consapevole dell’equivoco: una metafora del sistema di relazioni – mutanti – in uno spazio interpretabile secondo una “rete” di possibili rapporti; il racconto di Natale è rappresentativo di una finzione accettata nel ruolo di un’azione teatrale, così come potrebbe esserlo alla scala più vasta l’architettura della città.
Tutto ciò è vero tra i sedimenti della città storica così come tra gli interstizi della spazialità smagliata contemporanea.
Ogni oggetto, ogni pezzo di città può diventare simbolo e come tale scatenante una reazione a catena che percorre trasversalmente la storia dell’uomo urbanizzato.
Il forte stellato a sei punti con torrioni sui vertici del foglio 1 del Codice Vaticano Barberiniano Latino 4424 – il libro dei disegni di Giuliano da Sangallo [8]- allude esplicitamente al sigillo di Salomone; di per sé una delle più potenti allegorie tra occidente ed oriente. Un simbolo che per l’ermetismo cristiano medioevale era la rappresentazione delle due nature, divina ed umana, del Cristo. È rifererito al numero sei ed ai suoi significati; ed essendo chiaramente un doppio ternario (in cui uno dei due triangoli è la riproposizione opposta dell’altro) diviene raffigurazione propria dell’idea di analogia. Ed ancor più il disegno del foglio 9 del C.V. B.L. 4424, ove un altro forte è composto dall’unione di due triangoli di cui uno, il più piccolo, è all’interno del primo con vertice rivolto verso il basso. Rappresentazione schematica della coppa sacrificale; ed alludendo ovviamente a quella che raccolse il sangue del Redentore, contenendone il sangue, è anche simbolo del cuore. Il Cuore: problema umano della città si intitolava la relazione di Rogers a Hoddesden nel luglio del ’51: «(…) il Cuore delle città potrà realizzarsi per le città dell’Uomo, termine medio e concreto, tra la trascendente Città di Dio, e l’utopistica e totalitaria Città del sole»[9]. L’esagramma (tale è il disegno di Giuliano del f.3 del C.B.V.L. 4424) è rappresentazione circolare, tra cielo e terra, della vita umana. È anche significante dell’indivisibile unità tra microcosmo e macrocosmo; dal sigillo al tempio di Salomone il passaggio è obbligato.
Il simbolo salomonico è l’omphalós; è Anahata cakra, il centro di forza all’altezza del cuore, il primo rivelatore del suono cosmico durante la meditazione. I testi mesopotamici quando alludono al tempio usano il termine che designa la casa, É in sumerico e bîtu in accadico. La grande sala del tempio di Gerusalemme in cui entrano i sacerdoti è denominata Hekal, significa la “grande casa” residenza di Dio o Palazzo reale (É.GAL in sumerico, o nella forma semitica ekallu). Che una fortificazione abbia forma d’esagramma può non essere casuale; il pensare in pietra il luogo del recinto, ovvero della protezione, diventa sinonimo dell’idea di urbano; e certamente memoria del luogo dei luoghi: il recinto dei recinti. Luogo mondano che ha rapporto (análogos) con il piano extramondano (ciò all’interno della rappresentazione simbolica ovvero del linguaggio parlato dall’analogia). Nella bibbia sefardita di Perpignan[10] (1299), di Salomon ben Raphael, i disegni delle suppellettili mobili del Tempio inscritte in un rettangolo ripartito sostituiscono la rappresentazione del tempio, o meglio dell’idea di tempio che si poteva avere nella Spagna dell’epoca. Recupero della memoria del recinto sacro itinerante nel deserto; «tenda del convegno, dell’incontro» (ohelmo `ed). Recinto precedente il Primo Tempio.
Il Tempio in pietra: quello che inquadrato, poi, nel complesso sistema dei pellegrinaggi e dei tributi finirà per coincidere con la città che lo conteneva. Dal miskane[11] (la tenda nel deserto) al primo Sanctum Sanctorum stabile, al 29 agosto del 70 d.C., e da questa data in poi inizia l’elaborazione mitica; immagini della memoria versus una costruzione della città come rappresentazione dell’assenza: della nostalgia che diventa analogia. Il Tempio è debir, luogo per eccellenza della Parola che come tale è non fisicamente rappresentabile; è nel nascosto desiderio di ricucire questa presenza non presente che si edificano in pietra continue allusioni a quanto è andato definitivamente perduto.
I disegni di Juan Bautista Villalpando de El tratado de la arquitectura perfecta en la ultima vision del profeta Ezequiel per la ricostruzione del Tempio di Salomone sono oggi rappresentazione metaforica della lunga, ed occulta, influenza giunta sino alla modernità del recinto perduto.
Figure del silenzio, in una trasformazione che nel tempo e nello spazio saranno, ad esempio, un piano Cerdà o un Plan Voisin. Il disegno del Tempio sopra il monte Moria di Villalpando (1604) fu ripreso da Caramuel (1678) e da Fischer von Erlach (1721): è la costruzione d’un grande basamento. Il terrain artificiel, usando una definizione lecorbusieriana, che nella Unité d’habitation sarà sostegno dei services communs de ravitaillement, del toit-terrasse e del sistema della tour d’ascénseurs e delle rues intérieures. Le questioni tecnico-sanitarie per il terreno artificiale Le Corbusier le deriva da Les Villes de l’avenir di Eugène Hénard[12], ma la costruzione del basamento sarà sostanzialmente da leggersi come un vero atto aurorale; come il solco dell’aratro del fondatore di città.
Da “la città analoga ” per la Biennale fino ad arrivare a disfarsi della città; un groviglio di memorie , identità «e perdita dell’identità» [13]: il Corral del Conde[14] come i cortili di Milano. Penso alla villa romana San Rocco a Francolise (Capua), già essa sinolo tra la tipologia della villa urbana e quella rustica; o alla villa di Settefinestre (Orbetello) anch’essa unione delle due tipologie con la cinta muraria turrita ripresa nelle ville medicee di Trebbio o di Cafaggiolo; poi penso alla rossiana Unità residenziale San Rocco[15], reticolo romano impostato sopra un pezzo di Lombardia.
Lo spazio della “città analoga” come il bianco tra le lettere di fuoco nelle pagine del Libro – spazio delle relazioni in cui si annulla l’idea di centro per l’assenza della parola definitivamente ritrattasi, luogo delle possibilità: lo spazio dell’uomo, il luogo pubblico, l’analogo di quello sacro.
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[1] Comunicazione tenuta il 5 ottobre 2000 presso il Lab.Prog.arch. III del prof. G.Barbieri, Facoltà di Architettura di Pescara.
[2] ROSSI Aldo, Introduzione all’edizione portoghese de ‘L’architettura della città”, in Aldo Rossi, Scritti scelti dull’architettura e la città 1956-1972. Città Studi, Milano 1978 pag.451
[3] CORBOZ André, Canaletto. Una Venezia immaginaria. Alfieri Electa; pgg.80-113, 491-492, 336-337.
[4] AUSTER Paul, Smoke & Blue in the Face. Con la prefazione di Wayne Wang. Einaudi, Torino 1955; pgg.41-43.
[5] Dalla voce “analogia” nel Dizionario della lingua italiana di G.Devoto & G.C.Oli.
[6] ROSSI Aldo, Autobiografia scientifica. Pratiche Editrice, Milano 1999; pag 76
[7] ROSSI Aldo, Questi progetti, in Aldo Rossi, Architetture 1988-1992. Electa, Milano 1992; pag.165.
[8] Il libro di Guliano da Sangallo, Codice vaticano barberiniano latino 4424, con introduzione e note di Cristiano Huelsen. Biblioteca apostolica vaticana MCMLXXXIV.
[9] Ernesto Nathan Rogers, Esperienza dell’architettura; a cura di Luca Molinari, Skira editore, Milano 1997. Pgg.257-260.
[10] Bibbia di Perpignan. Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. hébr.7
[11] miskane = santuario. Tenda o tabernacolo trasportabile, costruito secondo le istruzioni di Dio da Mosè durante il soggiorno nel deserto. Conteneva l’Arca con le seconde Tavole.
[12] Le Corbusier alla Biblioteca Nazionale di Parigi studiò il«guaritore» Hénard (vedi, G.Fanelli e R.Gargiani, Perret e LC. Confronti. Laterza 1990 p.112 nota 17). Eugène Hénard ne Les Villes de l’avenir (relazione tenuta al Congresso Internazionale di Urbanistica di Londra 10-15 ottobre 1910; si veda D.Calabi e M.Folin -a cura di- Eugène Hénard, alle origini dell’urbanistica. La costruzione della metropoli. Marsilio 1982.) illustra la sua tesi del suolo artificiale. «L’errore è quello di basarsi sulla vecchia idea che la quota della strada debba essere stabilita dal livello originario del suolo naturale (…) – E.H. illustra così il suo progetto- (…) i marciapiedi e la carreggiata sarebbero fatti(…) come l’impianto di un ponte (…) Questa piattaforma costruita ad un’altezza di 5 metri sopra il livello naturale (…)» da Les Villes de l’avenir in Calabi, Folin op.cit. La rilettura delle tesi di E.H. condurrà allo scontro Perret e LC (nel rivendicare, ad esempio, la paternità dell’idea). In l’Esprit Nouveau n°4 LC e Saugnier affermeranno l’originalità della trasposizione di tale idea derivata da Hénard. L’influenza reciproca tra Perret e LC porterà quest’ultimo al progetto delle Villes-Pilotis: Perret negli anni ’20, in una serie di interviste aveva enunciato la sua idea di città appoggiata ad un suol artificiale contenitore di canalizzazioni. Gargiani individua l’influenza di A.Perret come momento di grande importanza negli sviluppi lecorbusiani (sul tema si veda anche Jean-Louis Cohen, Sulle tracce di Hénard in Casabella 531-532. Electa 1987). L’idea originaria raggiungerà poi la massima espressività, come nota Laurent Israël, con il Pavillon suisse alla Città Universitaria (L.I., Les Pilotis in AMC n°49, settembre 1979).
[13] ROSSI Aldo, Autobiografia scientifica. Pratiche Editrice, Milano 1999; pag 27.
[14] Aldo Rossi, 1975 El Corral del Conde, Siviglia (SP); progetto di restauro ed ampliamento, in collaborazione con G.Braghieri e A.Cantafora.
[15] Aldo Rossi, 1966, Complesso residenziale in località San Rocco, Monza; progetto per il concorso, in collaborazione con G.Grassi.